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Che cosa già sanno e che cosa devono imparare i “nativi digitali”

Nel mercato del lavoro – argomenta Sebastiano Bagnara nel suo paper – si affermano oggi professioni che hanno due caratteristiche in comune: non vi è produzione e scambio di prodotti fisici, ma di informazioni e idee; il valore della prestazione è determinato soprattutto dal grado d’innovazione e dalla qualità delle idee prodotte, dall’efficacia delle soluzioni inventate per affrontare problemi inediti. Ricerca, istruzione, finanza, management, informatica, ingegneria ed architettura, arte, design, intrattenimento e comunicazione: il lavoro delle “professioni della conoscenza” è fluido, vario, intenso temporalmente, cognitivamente, socialmente ed emotivamente impegnativo, richiede responsabilità, collaborazione e visione.

Fra le abilità che appaiono essenziali per lo sviluppo delle competenze per lavorare nella società della conoscenza, alcune tipicamente mostrano di possederle i “nativi digitali”, le nuove generazioni nate e cresciute in un mondo sempre più innervato dalle ICT:  capacità di manipolazione fine, abilità di coordinamento visuale-motorio, capacità di lavorare per immagini, prontezza a cogliere e affrontare l’inaspettato, orientamento al multi-tasking.
Apprese spontaneamente, è però auspicabile che le “nuove” capacità cognitive diventino oggetto dei percorsi educativi, affinché i nativi digitali le usino in maniera critica e consapevole, prefigurandone anche i rischi. Al tempo stesso, si deve impedire il deterioramento di altre abilità altrettanto cruciali, come la capacità di riflessione e quella linguistica.
Di qui l’urgenza di ripensare l’organizzazione dei sistemi formativi per trasformarli in modo da renderli coerenti con i cambiamenti del lavoro e con le caratteristiche dei nativi digitali. Abbiamo bisogno, secondo Bagnara, di sistemi aperti, pensati per essere utilizzataida utenti diversi, con bisogni, conoscenze, stili d’apprendimento differenti, che perciò richiedono insieme una profonda trasformazione delle metodologie didattiche, che forse sarebbe stata possibile e desiderabile anche senza le nuove tecnologie, ma che queste rendono ineluttabile.

Il paper fa parte dei contributi di ricerca commissionati dalla Fondazione Agnelli per il suo Rapporto sulla Scuola in Italia 2010.