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Una ricerca Fondazione Agnelli-AIDP esplora luci e ombre del 3+2 dal punto di vista delle imprese

Qual è il profilo ideale di un neolaureato secondo il direttore del personale di un’impresa intenzionata ad assumere? Innanzitutto deve avere una buona conoscenza della lingua inglese e almeno un anno di esperienza di lavoro, con un voto di laurea preferibilmente superiore a 100 e un’età ancora lontana dalla soglia dei 30 anni.

Questo, in pillole, è uno dei risultati che si possono ricavare da una ricerca della Fondazione Giovanni Agnelli, in collaborazione con AIDP (Associazione italiana per la direzione del personale), curata da Claudia Villosio (Laboratorio Revelli, Torino) e da Alessandro Monteverdi (Fondazione Agnelli).
Il Working Paper della ricerca e una sua sintesi, che fanno parte di un più ampio programma di ricerca della Fondazione Agnelli sull’università e, in particolare, degli esiti della riforma universitaria a dieci anni dalla sua introduzione, sono ora disponibili online.
La base empirica della ricerca è costituita dalle risposte a un questionario articolato date da 226 direttori del personale, che rappresentano imprese per un totale di circa 300.000 occupati in diversi settori, con una prevalenza del manifatturiero.
L’indagine fornisce risposte ai seguenti interrogativi: (1) Qual è il giudizio dato dai direttori del personale sui nuovi laureati e sulla riforma del 3+2? (2) Quali sono i profili dei laureati maggiormente ricercati dalle imprese? (3) Quali sono i singoli Atenei che godono di maggior credito presso le imprese?

La grandissima maggioranza degli intervistati considera i laureati fondamentali per la propria impresa ed ha effettuato assunzioni di neolaureati negli ultimi tre anni, con una preferenza per i laureati magistrali, ma con assunzioni anche di laureati triennali. Rimarcano, tuttavia, che la proliferazione dei titoli della riforma universitaria ha reso più complicata la selezione del personale in quanto il “prodotto” universitario ha perduto la sua riconoscibilità: le imprese hanno oggi maggiori difficoltà a riconoscere le competenze sottostanti “un’etichetta” di laurea.