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La Fondazione Agnelli torna su uno dei nodi caldi del sistema d’istruzione e formazione nel nostro Paese

La dispersione scolastica in Italia, così come rilevata dall’Unione Europea (Eurostat), ammontava nel 2013 al 17%, riferendosi a quei giovani fra i 18 e i 24 anni che si sono fermati al titolo di terza media e risultano fuori da qualsiasi percorso formativo.
Secondo la Fondazione Agnelli, qualsiasi riflessione su come prevenire e contrastare la dispersione scolastica deve comunque partire da questo dato, che è la spia di un fenomeno in ogni caso estremamente grave e preoccupante per il nostro Paese e – nonostante i miglioramenti degli ultimi anni – resta 7 punti sopra l’obiettivo europeo del 10% e anche sopra l’obiettivo redeclinato per l’Italia al 15%.

Naturalmente, la comprensione e la stima del fenomeno della dispersione scolastica in Italia non possono prescindere dalla considerazione degli esiti dei percorsi di formazione professionale regionale e questo è un punto decisamente problematico. Per avere, infatti, un’idea più precisa di quanti siano e quale profilo abbiano i ragazzi e le ragazze che si trovano maggiormente a rischio di abbandono sarebbe cruciale avere informazioni affidabili su
(i) quanti studenti usciti dal percorso di istruzione secondaria (dopo la terza media o nei primi anni di superiori) transitano alla formazione professionale regionale;
(ii) quanti di costoro portano a termine tale percorso, che – a differenza di altri paesi europei – è comunque più breve rispetto a quello dell’istruzione secondaria e non dà accesso all’università;
(iii) quali competenze abbiano effettivamente acquisito questi ragazzi e se siano tali da consentire un dignitoso inserimento nel mondo del lavoro e un ruolo attivo nella società (un interrogativo che, peraltro, andrebbe esteso anche a molti studenti che raggiungono il diploma di maturità, ma le cui competenze risultano inadeguate, secondo le rilevazioni internazionali).

Purtroppo, il clamoroso ritardo nella realizzazione di molte anagrafi regionali e nella loro integrazione con quella del MIUR impedisce oggi di avere quei dati che sarebbero necessari per politiche nazionali e locali di prevenzione e contrasto alla dispersione scolastica.