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Articolo pubblicato su La Repubblica del 24 giugno 2023

Grazie al PNRR, il nuovo percorso di formazione e abilitazione dei docenti delle scuole secondarie doveva essere un pilastro della riforma del nostro sistema d’istruzione. Troppo a lungo, in Italia ci si è cullati nell’illusione che basti conoscere la materia per saperla insegnare e così i metodi di insegnamento nelle medie e nelle superiori sono invecchiati, diventando inadeguati. Alle primarie, invece, dove gli insegnanti hanno una solida e moderna preparazione didattica, anche nel confronto internazionale, i risultati sono ottimi.

Approvata nel 2022 dal governo Draghi, pur con vari difetti, la legge 79 sembrava una svolta, introducendo l’idea che per insegnare alle scuole secondarie serva un’abilitazione conseguita con un anno di corso dedicato alla didattica delle singole materie (fisica, storia, inglese…), scienze dell’educazione e tirocini in classe.

Per quasi un anno, con colpe tanto del precedente quanto dell’attuale esecutivo, la riforma si è arenata, in attesa di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri che ne definisse linee e contenuti operativi.

Ora che il Dpcm è in arrivo e il testo già circola, si scopre ciò che si temeva. Formalmente adeguata per il via libera della Commissione europea, ben confezionata per dare parvenza di serietà, a guardarla da vicino la riforma si rivela una scatola vuota. E non potrà dare ai futuri docenti una formazione e un’abilitazione all’insegnamento al livello dei migliori sistemi scolastici europei.

Innanzitutto, non sarà uniforme nel Paese. Ci si aspetta che un futuro professore di matematica acquisisca la stessa formazione a Milano o a Bari. Non sarà così: le università hanno ottenuto un’enorme discrezionalità nella definizione dei contenuti degli insegnamenti. Sarà una formazione à la carte, a seconda dei docenti a disposizione nell’ateneo e degli insegnamenti attivati.

Inoltre, mancherà di rigore. Per legge, come negli altri paesi, i 60 crediti del corso di abilitazione devono essere ‘aggiuntivi’ rispetto a quelli conseguiti per la laurea. Il Dpcm prevede che, invece, ben 17 crediti possano essere abbuonati, riconoscendoli fra quelli presi per la laurea, affidando agli atenei il controllo della loro coerenza con gli obiettivi del corso. Si noti che i crediti riconosciuti saranno diversi da candidato a candidato, aumentando ancora la disomogeneità della preparazione. Per di più, con una decisione senza precedenti, si è fissata la soglia delle assenze consentite al 40%. Alla possibilità di ‘bigiare’, per i prossimi due anni, si aggiunge anche quella di frequentare online fino al 50% delle lezioni (tirocini esclusi).

Oltre al sospetto che si vogliano favorire le università telematiche, tra riconoscimenti e didattica a distanza, si potrà arrivare a fine corso senza di fatto aver mai messo piede in un’aula universitaria. Né l’omogeneità nazionale potrà essere “recuperata” dalle due prove finali, non selettive e con commissioni interne.

Il percorso previsto dal Dpcm, dunque, non esige quel livello di impegno e dedizione che si vorrebbe per chi dovrà formare generazioni di studenti nei prossimi decenni. In compenso, in un prolificare di scorciatoie, faciliterà la strada ai tanti docenti precari ancora privi di abilitazione. Se non è una sanatoria, poco ci manca.

Infine, è assai difficile che possano essere rispettati i tempi di attuazione richiesti dal Governo per mantenere l’impegno con l’UE di 70mila assunzioni secondo le nuove regole entro il 2024. Con troppi passaggi burocratici e organizzativi ancora mancanti, varare i primi corsi in autunno sarebbe miracoloso e, comunque, andrebbe a danno di una seria programmazione.

Se la riforma non partirà, però, si potrà continuare – come si è fatto in questi anni – ad assumere senza verificare adeguatamente le capacità di chi va in cattedra. In questa fase politica, ciò può facilitare il rapporto fra Ministeri e sindacati. In futuro, danneggerà la scuola e gli apprendimenti dei ragazzi.

Carlo Cappa – Università di Roma TorVergata
Andrea Gavosto – Fondazione Agnelli