Vai al contenuto principale

Perché è necessario rendere comparabili gli esiti dell’esame di Stato ai fini dell’ammissione universitaria: Andrea Gavosto ne scrive su La Stampa

Stanno per iniziare i test di ammissione ai corsi di laurea a numero programmato, che sono in numero crescente e suscitano grande agitazione in studenti e famiglie. Qualche mese fa Maria Chiara Carrozza, ministro del MIUR, aveva deciso lo slittamento a settembre dei test, chiedendo anche una revisione del meccanismo di calcolo dei punteggi. Ma polemiche e perplessità non si sono comunque placate.
Andrea Gavosto riprende, sempre su La Stampa, il filo del ragionamento avviato in un precedente intervento del 18 giugno , spiegando come la decisione di adottare in alcuni casi – come a Medicina – il criterio della graduatoria nazionale possa portare a una maggiore equità dei risultati, sebbene al prezzo di dovere attendere più a lungo per averli definitivi.
A chi si interroga sull’utilità dei test universitari, il direttore della Fondazione Agnelli propone una riflessione che mette a fuoco gli attuali limiti dell’esame di maturità, che derivano fra l’altro dall’impossibilità di confrontare – fra allievi di scuole e territori diversi – i risultati decisi da migliaia di commissioni. L’esigenza di un’effettiva e ragionevole comparabilità è, invece, essenziale per rendere il più possibile equa la selezione all’ingresso dell’università, una tendenza che – a torto o ragione – sembra essere destinata a riguardare in futuro un numero sempre maggiore di corsi di laurea.
In altre parole: se l’esame di Stato alla fine delle superiori si affidasse a prove standardizzate e comparabili a livello nazionale, diventando così per gli atenei con corsi a numero chiuso un parametro affidabile e credibile sulla base del quale accettare o rifiutare un’immatricolazione, si potrebbe fare a meno in tutto o in parte dei test di ammissione all’università.

Allegati